Tribunale di Torino, 15.02.1996
Quando viene proposta una domanda di accertamento negativo della brevettabilità del trovato e nelle more del giudizio sia intervenuta una decisione negativa
dell’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi in ordine alla concessione del
brevetto, il giudizio, non avendo più come oggetto diretto un brevetto
per invenzione industriale, è procedibile anche se una copia dell’atto
introduttivo non sia stata comunicata ai sensi dell’art. 80, legge invenzioni.
In causa di accertamento negativo della brevettabilità di un trovato,
cessata la materia del contendere a causa del rifiuto dell’Ufficio Italiano
Brevetti e Marchi di concedere il brevetto, si ha la virtuale soccombenza dei
convenuti che anteriormente propugnavano sia stragiudizialmente sia in giudizio
la brevettabilità del loro ritrovato, se mediante consulenza tecnica d’ufficio
sia stato accertato che il trovato non era brevettabile per difetto di novità intrinseca,
essendo costituito da un procedimento, specifica applicazione a sua volta di
un procedimento generale già all’epoca ben conosciuto in materia
di editoria elettronica.
Sussiste l’interesse ex art. 100, codice procedura civile, a proporre domanda
di accertamento del proprio diritto di continuare la commercializzazione di determinati
prodotti in presenza di un formale divieto intimato per iscritto da parte dei
convenuti.
Quando un procedimento non è suscettibile di essere brevettato come invenzione
industriale perché costituente mera applicazione ad uno specifico problema
di strumenti e procedimenti all’epoca già ben conosciuti ai tecnici
del settore, l’accertamento della precedenza temporale nell’applicazione
medesima del procedimento in questione appare circostanza giuridicamente del
tutto irrilevante, rispetto alla quale non sussiste l’interesse ad agire
ex art. 100, codice procedura civile, dato che tale interesse è configurabile
solo allorché l’esercizio dell’azione miri ad ottenere un
risultato giuridicamente apprezzabile non conseguibile altrimenti che con l’intervento
del giudice.
Non costituisce atto di concorrenza sleale l’attribuzione a se stessi della
paternità di una invenzione, per giunta risultata non brevettabile, perché tale
attribuzione, se presa in considerazione indipendentemente dalla diffida alla
commercializzazione, non è neppure configurabile come atto di concorrenza.
Una diffida a rilevanza meramente interna, e cioè circoscritta al rapporto
fra i due imprenditori concorrenti senza coinvolgimento di alcun altro soggetto
estraneo, può, ricorrendo certe condizioni, provocare comunque conseguenze
negative giuridicamente rilevanti e quindi può in astratto integrare comportamento
contrario ai doveri della correttezza professionale, fermo restando, anche in
questa prospettiva, che è necessario valutare secondo criteri di prudenza
e ragionevolezza se la sussistenza del diritto posto a fondamento della diffida
poteva essere ipotizzata secondo un giudizio ex ante e se sussiste la prova dell’obbiettiva
attitudine della diffida ad incidere sul comportamento operativo dell’imprenditore
diffidato.