Corte Costituzionale, Sentenza, 3, 09.01.1996
Attesa la plausibilità della motivazione con la quale il giudice a quo, con apprezzamento di fatto, è pervenuto a ritenere che lo “iopamidolo” fosse un farmaco e come tale assoggettato al divieto di brevettazione di cui all’art. 14, vecchio testo, legge invenzioni, non può essere negata la rilevanza della questione di costituzionalità degli artt. 14 e 15, R.D. 29 giugno 1939, n. 1127, come modificati dal D.P.R. 22 giugno 1979, n. 338, nella parte in cui non prevedono la tutela brevettuale per un farmaco brevettato all’estero in costanza del divieto di brevettabiltà poi rimosso dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 20/78 e brevettato in Italia dopo la scadenza del termine annuale a decorrere dal primo deposito estero entro il quale avrebbe potuto essere rivendicata la priorità ai sensi dell’art. 4 della Convenzione di Parigi, ratificata con legge 28 aprile 1976, n. 424. Non è configurabile come ragione di inammissibilità della questione di illegittimità costituzionale, ma piuttosto costituisce indice di valutazione del merito, la circostanza che vi sia una sostanziale coincidenza fra i termini del thema decidendum avanti la Corte Costituzionale e quelli della potenziale decisione del giudizio a quo avendo il giudice rimettente assunto una delle possibili soluzioni della controversia davanti a lui pendente come paradigma della domandata pronuncia costituzionale additiva la quale renderebbe immuni dai prospettati vizi le norme denunciate di incostituzionalità attraverso l’introduzione di quello stesso strumento che il legislatore avrebbe dovuto offrire mediante la mai dettata disciplina transitoria. Poiché le ragioni svolte nella sentenza n. 20/78 con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo il divieto di brevettazione dei farmaci di cui al vecchio testo dell’art. 14, legge invenzioni, riguardavano esclusivamente tale divieto, e poiché al dispositivo della citata sentenza si è perfettamente conformata la normativa successivamente introdotta con il D.P.R. n. 338/79 l’unico vizio di incostituzionalità configurabile con riguardo a tale normativa potrebbe essere quello della violazione dell’art. 3, Costituzione, a causa della discriminazione di quegli imprenditori farmaceutici che, pur svolgendo attività di ricerca tanto da conseguire invenzioni brevettate all’estero, non avevano presentato anche in Italia la domanda di brevetto per rispettare la normativa al tempo vigente. La questione di legittimità costituzionale della disciplina dei brevetti introdotta con il D.P.R. n. 338/70 dopo che la sentenza della Corte Costituzionale n. 20/78 aveva dichiarato illegittimo il divieto di brevettazione dei farmaci sollevata sul presupposto di una disparità di trattamento comportante discriminazione a danno degli imprenditori farmaceutici che, pur avendo svolto attività di ricerca tanto da conseguire invenzioni brevettate all’estero non avevano presentato anche in Italia la domanda di brevetto nel pieno rispetto della normativa allora vigente, è infondata perché l’asserita discriminazione non deriva dalla normativa denunciata che invero non fa distinzioni di sorta bensì unicamente dalla diversa condotta mantenuta, nella vigenza della precedente normativa, dai soggetti fra i quali è posta la comparazione, ben potendo la legge disporre trattamenti diversi in confronto a soggetti diversamente solleciti nella tutela delle proprie pretese. Il soggetto interessato all’accertamento dell’incostituzionalità necessario per rimuovere l’impedimento all’esercizio di un diritto deve pur sempre percorrere la via dell’instaurazione di un giudizio e nel corso di tale giudizio richiedere che venga sollevata la relativa questione. Chi subisce passivamente l’impedimento non può sfuggire alla conseguenza che il rapporto venga ad esaurirsi (in applicazione di questo principio la Corte Costituzionale ha ritenuto infondata la questione dell’illegittimità costituzionale della disciplina dei brevetti entrata in vigore dopo la dichiarazione di incostituzionalità del divieto di brevettazione dei farmaci da chi assumeva di essere stato discriminato per non aver presentato la domanda di brevetto ed aver fatto decorrere inutilmente il termine della rivendicazione di priorità dal primo deposito estero dell’invenzione non brevettabile in Italia a causa del divieto quivi allora in vigore).