Sentenza Cassazione n. 10851 del 05/11/97
5 agosto 1998La Cassazione, sezione Lavoro, con questa sentenza statuisce che l'attività di ricerca non si identifica necessariamente con l'ottenimento di una invenzione, modificando radilcalmente l'interpretazione dell'art. 23 L.I., primo comma. Ha, infatti, affermato che:
"Dato che l'attività di ricerca consegue i suoi scopi anche se non dà luogo ad un risultato inventivo, potendo consentire risultati diversi quali la soluzione di problemi tecnici fondamentali per l'imprenditore anche senza l'introduzione di un quid novi, oppure potendo sfociare in invenzioni scientifiche che non sono suscettibili di immediata applicazione sul piano industriale e quindi non brevettabili, non si può ritenere integrata la fattispecie di cui al primo comma dell'art. 23, legge invenzioni per ciò solo che il dipendente abbia voluto mettere a disposizione del datore di lavoro la propria attività di ricerca non potendosi di ciò dedurre che volle mettere a disposizione anche l'invenzione brevettabile che ne poteva eventualmente conseguire."
Da detta sentenza ne consegue che se l'attività inventiva non è dedotta nel contratto di lavoro, ovvero se non è evidenziabile nel rapporto di lavoro una volontà delle parti in tal senso, nulla rileva che il collaboratore sia stato assunto, ovvero sia stato incaricato, per un'attività di ricerca.
Tale impostazione fa sì che, in un rapporto di lavoro o di collaborazione in cui è prevista l'attività di ricerca, non si può ritenere compresa la fattispecie di cui al primo comma dell'art. 23 L.I. se non è chiaramente deducibile, od esplicitamente espresso, che il collaboratore, oltre all'attività di ricerca, deve dedicarsi anche all'attività inventiva e voglia mettere a disposizione dell'azienda le eventuali invenzioni brevettabili che dovessero concretizzarsi.
Se detto dovere e detta volontà non sono chiaramente deducibili od esplicitamente espressi e si concretizzasse un'invenzione brevettabile, al collaboratore ricercatore dev'essere riconosciuto l'equo premio di cui al secondo comma dell'art. 23 L.I.
Questa decisione della Cassazione, per affinità,
può essere applicata anche a tutti i contratti in cui venga prevista
una consulenza professionale che sottintenda un'attività di ricerca.
Anche in questi casi, la specifica richiesta della sentenza della
Cassazione in commento dovrà essere presente per evitare di dover
riconoscere al professionista il dovuto equo premio.